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Se si va verso l’occhio per occhio, dente per dente, la possibile risposta cinese potrebbe essere un colpo durissimo all’economia americana. Altro che blocco della produzione di apparecchi low cost (che peraltro farebbero il gioco di Donald Trump nel ventilare una ripartenza dell’economia manifatturiera negli Usa), sul piatto ci sarebbe invece il blocco dell’esportazione delle cosidette “terre rare”, moltissime delle quali sono estratte e raffinate in Cina.

Questa ipotesi, forse più concreta di quanto non si pensi, avrebbe spinto l’amministrazione Trump a sospendere il bando a Huawei per 90 giorni: il rischio di far scalare lo scontro portandolo sul piano delle terre rare creerebbe infatti un pregiudizio enorme a moltissimi settori industriali americani: dalle raffinerie di petrolio alle turbine eoliche sino ai motori degli aerei di linea e militari.

È stato il presidente cinese Xi Jinping, durante una visita a una fabbrica praticamente sconosciuta in una regione marginale della Cina, a far cadere in un passaggio del suo discorso l’ipotesi bando delle terre rare per gli Usa. Una ipotesi che farebbe fare un salto di qualità allo scontro tra Washington e Huawei, coinvolgendo l’intera economia americana. È una delle possibili risposte di Pechino al bando firmato da Donald Trump, secondo i media cinesi, ma è la più temuta negli Usa: mentre l’innalzamento delle tasse di importazioni su centinaia di miliardi di dollari e il blocco di Huawei colpiscono alcuni aspetti dell’economia cinese, in realtà il blocco delle terre rare sarebbe ancora più micidiale.

I materiali, estremamente rari e disponibili solo in alcune aree del mondo (in Cile se ne trovano alcuni, altri in Africa spesso in miniera di proprietà di aziende cinesi, e poi appunti in Cina), servono per la costruzione dei meccanismi di catalizzazione ad esempio del petrolio necessari a trasformarlo in benzina. Oppure nei magneti utilizzati per turbine eoliche, auto elettriche, motori di aereo, e decine di altri strumenti di uso quotidiano da parte dell’industria non solo americana.

“Questo bando – dice alla rivista americana Foreign Policy Ryan Castilloux, fondatore e direttore di Adamas Intelligence, una società di consulenza strategica sui metalli – interesserebbe tutto: auto, energie rinnovabili, difesa e tecnologia”. La Cina fornisce circa l’80% delle terre rare importate dagli Stati Uniti, utilizzati nella raffinazione del petrolio, nelle batterie, nell’elettronica di consumo, nella difesa e altro ancora.

Queste preoccupazioni sono diventate molto più tangibili questa settimana quando Xi, accompagnato dal suo ambasciatore di riferimento per i colloqui commerciali con gli Stati Uniti, ha visitato una fabbrica nel cuore del complesso industriale delle terre rare della Cina. Xi ha chiesto una nuova “Lunga Marcia“, un riferimento a una delle epopee fondatrici del Partito Comunista Cinese, nella sua guerra economica con gli Stati Uniti. “C’è sempre – ha detto Castilloux – un certo grado di interpretazione errata, ma visto il tempismo [della visita di Xi] è nostra opinione che questo suggerisca quel che sembra, e che si tratti davvero di una minaccia neanche troppo velata”.

Questa non sarebbe la prima volta che la Cina ha usato la sua posizione dominante nelle terre rare come leva geopolitica. Nel 2010 la Cina ha limitato drasticamente le esportazioni di terre rare verso il Giappone, un grande consumatore di questi materiali, mentre i due paesi stavano discutendo animatamente su alcune isole contese tra Tokyo e Pechino. L’embargo ha portato alla Cina alcune vittorie nel breve termine, ma ha anche spinto altri paesi a rivedere e ridurre la dipendenza da materiali critici controllati da Pechino.

 

LUBEA News on-line

Data: 2019-05-23

Fonte: CorCom www.corrierecomunicazioni.it