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La trasformazione in atto nel settore delle Tlc investe in modo profondo e capillare il mercato del lavoro. La continua sollecitazione imposta dall’innovazione tecnologica richiede, infatti, l’implementazione di nuovi modelli organizzativi, il rafforzamento e l’ampliamento delle competenze dei lavoratori e il coinvolgimento dei giovani in un’ottica di ricambio generazionale. Sono queste le sfide che vedono impegnate le aziende del settore le quali, dal canto loro, si devono confrontare con un mercato del lavoro, quello italiano, in cui il valore della competenza tecnologica si è affermato in ritardo e dove si avverte la cronica mancanza di professionalità specifiche di alto livello.

Formazione e competenze digitali: le nuove sfide di aziende, governo, scuole e università.

Asstel, per il 76% delle imprese mancano le professionalità richieste

Un ragionamento sulla situazione in cui versa il mercato del lavoro nel settore high-tech deve necessariamente partire dalle rilevanze empiriche più aggiornate a disposizione. È l’ultimo rapporto dell’Asstel a mettere in evidenza le difficoltà legate a una carenza di personale con competenze in alcune discipline: per la formazione terziaria nelle materie STEM (Università + ITS) il Rapporto 2023 segnala un mismatch annuale tra domanda e offerta di circa 6.200 persone nel periodo tra il 2023 e il 2027. Questa problematica è denunciata anche dalle imprese: infatti, dal 76% delle aziende che operano nel comparto delle tlc viene evidenziata una mancanza sul mercato delle professionalità richieste e solo il 14% delle imprese associate ritiene il sistema scolastico qualitativamente e quantitativamente adeguato.

Il Talent Shortage nel settore delle telecomunicazioni è ugualmente segnalato anche dall’ultimo rapporto di Manpower sulle prospettive di occupazione in Italia nel 2024. Secondo i dati citati nel report, infatti, i talenti disponibili sul mercato non soddisfano la domanda che arriva dalle aziende delle tlc: il 75% delle organizzazioni in Italia riferisce di avere difficoltà a trovare i talenti di cui ha bisogno. Nonostante il Talent Shortage, le imprese prevedono una prospettiva netta di occupazione in aumento del 12%, in calo rispetto al trimestre precedente (-3%) ma in rafforzamento di 12 punti percentuali rispetto all’anno precedente.

I dati dell’Osservatorio sulle competenze digitali

Uno sguardo più ampio sul problema è quello fornito dai numeri dell’Osservatorio sulle Competenze Digitali 2023, realizzato da Aica, Anitec-Assinform e Assintel, in collaborazione con Talents Venture che individua chiaramente un divario tra le competenze ICT che il mercato richiede e la disponibilità effettiva. Secondo i dati, negli ultimi anni, la domanda di professionisti ICT avanzata dalle imprese tramite il canale web, è passata dai 453mila annunci online di gennaio 2019 ad oltre 1,3 milioni di febbraio 2023 (fonte: Osservatorio Talents Venture su dati Lightcast).

Prendendo come riferimento solo il 2022 e la situazione italiana, il rapporto evidenzia come siano appena 44mila i professionisti usciti dai canali formativi tradizionali come università, scuole superiori e ITS. E questo a fronte dei ben 219mila gli annunci pubblicati online per il recruitment. Guardando i dati in prospettiva, tra il 2019 e il 2023 gli annunci sono cresciuti del 116%. Nel 2022, sintetizzando i dati, si è verificata una carenza di circa 175mila professionisti specializzati in materie ICT. Nel dettaglio, tra le figure più richieste figurano sviluppatori software ed esperti di ingegneria delle reti e dei sistemi. Nel complesso sono ben 60 però, complessivamente, le professionalità ricercate, con gli sviluppatori di applicazioni, front-end e Java che da soli rappresentano il 40% del segmento, e cloud architect e system engineering una quota rilevante pari al 20%. Si evidenzia una forte richiesta di professionalità pratiche di linguaggi di programmazione e cloud.

Eurostat, in Europa il talent shortage penalizza l’industria

Anche i dati di Eurostat, l’istituto europeo di Statistica, evidenziano un sostanziale mismatch tra domanda e offerta di lavoro nel comparto delle nuove tecnologie. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione dell’Istituto, che si riferiscono al 2023, il 60% delle imprese italiane che ha assunto, o cercato di assumere, specialisti ICT ha avuto difficoltà a coprire i posti vacanti.  Una difficoltà, secondo Eurostat, aggravata dal fatto che “le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono diventate rapidamente parte integrante del funzionamento delle imprese. Con le tecnologie complesse emergenti e l’evoluzione dell’utilizzo di Internet, le aziende richiedono specialisti qualificati per adattarsi agli ambienti digitali e ad alta intensità di dati”. Tecnici informatici e delle tlc sono dunque sempre più richiesti dal mercato del lavoro europeo.

E mentre l‘intelligenza artificiale e la crescita tumultuosa dei social chiede figure sempre più specializzate, molte imprese non trovano il personale adatto. A livello europeo l’anno scorso, quasi 1 impresa su 10 (9,5%) ha riferito di aver assunto (o che stava cercando di assumere specialisti in ICT nel 2021) e il 62,8% di queste imprese ha incontrato problemi a reperirli. La percentuale di difficoltà è stata sostanzialmente più alta tra le grandi imprese (72,2%), anche se le quote sono elevate anche tra le medie imprese (63,7%) e le piccole imprese (59,9%). Tra i membri dell’UE che se la passano peggio ci sono Slovenia (78,0%) e Germania (76,6%), cioè oltre i tre quarti delle imprese che hanno assunto o cercato di assumere specialisti hanno avuto difficoltà a coprire i posti vacanti. Lussemburgo è al 70,9% e i Paesi Bassi (70,4%) seguono da vicino, con una percentuale significativa di imprese che affrontano le stesse difficoltà. Le quote più basse sono state registrate in Spagna (32,8%), Bulgaria (46,0%), Polonia (46,5%), Slovacchia (51,4%) e Cipro (54,5%).

Upskilling e Reskilling: la sfida della formazione interna

Accanto al reclutamento sul mercato, anche la strada della formazione interna è una soluzione che può essere perseguita per inserire nelle imprese le figure professionali ricercate. In questo senso la formazione continua dei dipendenti (con programmi strutturali di upskilling e reskilling) e l’aumento dell’engagement sono le principali sfide per le direzioni Risorse Umane delle imprese della filiera delle Tlc. Nelle aziende del comparto, nel 2022, le attività di upskilling e reskilling hanno coinvolto circa 57mila persone, pari a quasi il 97% del totale addetti (di cui il 3% in iniziative di reskilling), in crescita rispetto al 94% del 2021. Mediamente nel corso del 2022, ciascun lavoratore coinvolto ha seguito circa 6 giornate di formazione anche grazie agli strumenti normativi, in aumento rispetto alle 4/5 previste. Anche tra gli altri attori della filiera delle Tlc la percentuale di lavoratori coinvolti in attività di formazione è elevata: quasi un addetto su due. In particolare, le competenze più ricercate che sono prevalentemente oggetto di programmi di formazione sono: Cybersecurity e Data Protection, Intelligenza Artificiale e Machine Learning, Big Data Analytics.

Come si muovono le grandi imprese

Secondo un report prodotto dal McKinsey Global Institute, entro il 2030, il reskilling potrebbe coinvolgere oltre 375 milioni di lavoratori in tutto il mondo ma non tutte le società si stanno preparando allo stesso modo. Si stima che solo un terzo delle imprese, infatti, abbia già iniziato a sviluppare programmi di reskilling, mentre la maggioranza dei datori di lavoro preferisce assumere risorse già formate e quindi, presumibilmente, ad un costo sul mercato maggiore. Grande attenzione deve poi essere posta sull’impatto che l’AI avrà su professionalità e formazione.

Secondo un rapporto di Deloitte, il reskilling/upskilling mirato in relazione all’implementazione dell’intelligenza artificiale nei cicli produttivi, richiederà la creazione di nuovi programmi di formazione per sviluppare competenze in settori quali l’apprendimento automatico, l’analisi dei dati e lo sviluppo di algoritmi. La formazione in queste aree è fondamentale per permettere ai dipendenti di acquisire competenze altamente specializzate, altrimenti indispensabili nella gestione dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie correlate.

Proprio in tale ottica, alcune società (per lo più multinazionali) hanno già sperimentato (e continuano a farlo) programmi di reskilling ed upskilling per i propri dipendenti per non farsi trovare impreparati dinanzi ai rapidi cambiamenti del mondo del lavoro. E così, ad esempio, JPMorgan Chase che ha creato un programma di formazione per le competenze tecnologiche chiamato “Tech Connect “, che mira a fornire ai dipendenti le competenze necessarie per gestire le nuove tecnologie emergenti. Amazon ha lanciato un programma di formazione chiamato “Upskilling 2025”, che mira a fornire ai dipendenti le competenze necessarie per le professioni del futuro, come l’intelligenza artificiale e la robotica. AT&T ha investito oltre 1 miliardo di dollari in programmi di formazione per i propri dipendenti, con l’obiettivo di fornire loro le competenze necessarie per svolgere i lavori del futuro. IBM che ha lanciato il ‘New Collar Program’: un programma di formazione per i lavori digitali, come lo sviluppo di app e l’analisi dei dati. Sempre negli Stati Uniti, Walmart ha creato un ‘Academy Program’, ovvero un programma di formazione per i propri dipendenti che mira a fornire loro le competenze necessarie per gestire le modalità di business proiettate agli strumenti del futuro.

In sintesi, reskilling e upskilling professionali sono elementi chiave per l’adeguamento ai rapidi cambiamenti del mondo del lavoro, soprattutto in relazione all’implementazione dell’intelligenza artificiale. Ciò richiederà, parallelamente, l’implementazione di nuovi programmi di formazione ed il supporto dei datori di lavoro per garantire la sostenibilità delle carriere dei dipendenti e l’adeguamento alle nuove necessità dei cicli di produzione.

PNRR e formazione

In Italia importanti impulsi in tema di reskilling/upskilling si attendono grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In particolare, attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si prevede l’investimento di circa 1,5 miliardi di euro entro la fine del 2024 in programmi di formazione per i lavoratori da destinare alle imprese, tentando di fornire loro le competenze necessarie per i lavori del futuro, derivanti dalla digitalizzazione, dagli sviluppi dell’intelligenza artificiale e dalla ricerca mirata alla sostenibilità ambientale. Di pari passo, tali investimenti includono programmi di formazione mirati per le competenze digitali, come la programmazione, l’analisi dei dati e la cybersecurity; programmi di formazione per progetti di transizione verso un’economia più sostenibile, con lo sviluppo delle energie rinnovabili e la mobilità sostenibile; e programmi di formazione volte allo sviluppo delle competenze trasversali e legate alla comunicazione collaborazione e leadership. Il PNRR, peraltro, accanto agli incentivi mirati al reskilling ed all’upskilling, ha altresì previsto l’introduzione di incentivi fiscali per le imprese che investono nella formazione dei propri dipendenti.

Il piano del Governo per rilanciare scuola e istituti professionali

Sul piano formativo anche il Governo ha avviato una rimodulazione dell’offerta scolastica con l’obiettivo di venire incontro alle crescenti richieste di figure professionali in possesso di elevate competenze tecnologiche. Con un disegno di legge approvato a fine 2023 il Governo ha istituito, a decorrere dall’anno scolastico 2024/2025, la filiera formativa tecnologico-professionale costituita dai percorsi sperimentali del secondo ciclo di istruzione, dai percorsi formativi degli ITS Academy, dai percorsi di istruzione e formazione professionale e da quelli di istruzione e formazione tecnica superiore. Si viene così a delineare un’unica offerta di istruzione e formazione, anche mediante la possibilità di costituire le reti (campus), a cui potranno aderire, oltre alle istituzioni formative sopra citate, le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado, le Università, gli istituti Afam, e anche altri soggetti pubblici o privati. Tra le novità il fatto che la filiera formativa consenta il completamento del percorso di studi tecnico-professionali in quattro anni.

Si muove anche l’Europa

Il tema delle competenze digitali e la necessità di rafforzare le competenze digitali avanzate nei giovani per dare competitività all’economia è una questione su cui si è impegnata recentemente anche l’Unione europea. La Commissione UE ha infatti aperto due “call for proposals” dotate di un budget complessivo di 40 milioni di euro con le quali si punta a stimolare la collaborazione tra scuole superiori, enti di ricerca e imprese innovative per fornire programmi di formazione in aree come il cloud, l’intelligenza artificiale, la blockchain, la cybersicurezza, il quantum computing e la realtà estesa.

La prima call, che assorbe 30 milioni di euro dello stanziamento complessivo, ha l’obiettivo di sostenere l’eccellenza negli istituti di istruzione superiore, rendendoli un’avanguardia mondiale nella formazione degli specialisti digitali del futuro e aumentare la capacità dell’offerta formativa nell’area delle competenze digitali avanzate. Nelle intenzioni di Bruxelles ciò dovrebbe portare allo sviluppo di ecosistemi educativi digitali dinamici in cui gli istituti di istruzione superiore lavorano insieme a partner dell’industria e della ricerca particolarmente innovativi per attrarre e trattenere i migliori talenti in tutto il mondo.

La seconda call è specifica per il supporto alla European Cybersecurity Skills Academy, e può contare su un budget di 10 milioni di euro. In questa seconda iniziativa rientrano i programmi di formazione per PMI, Start-Up e settore pubblico per la Cybersecurity Skills Academy. Obiettivo è la definizione di Corsi di formazione finalizzati a formare competenze specifiche relative a cyber-forensics, cyber range, analisi di malware e intelligenza artificiale per la sicurezza informatica.

Riflessioni finali

La mancanza di figure professionali con elevate competenze tecnologiche e la conseguente difficoltà delle imprese a completare i loro organici con personale in grado di rispondere alle crescenti e sempre più specifiche esigenze imposte dall’innovazione tecnologica costituisce una realtà incontrovertibile. Le indicazioni che arrivano in questa direzione da imprese e istituti di ricerca lasciano pochi spazi a dubbi e interpretazioni. Per annullare questo deficit è necessaria una strategia che agisca su diversi piani. In primis quello della formazione scolastica, che deve prevedere percorsi di studi high-tech oriented fin dalle scuole superiori.

Allo stesso modo l’offerta formativa non può trascurare l’importanza di una formazione universitaria e post-universitaria altamente qualificata, che sappia proiettare le competenze già acquisite dagli studenti in una dimensione più evoluta e pronta a rispondere alle sollecitazioni del mercato del lavoro. In questo senso un più stretto coordinamento tra università e mondo delle imprese può risultare decisivo. Ugualmente, le aziende potrebbero dare un contributo virtuoso attivando investimenti finalizzati alla creazione di momenti di formazione professionalizzante rivolte agli studenti: è il caso dei campus o stages sul modello già ampiamente diffuso negli Usa. Accanto al reclutamento tradizionale, infine, anche il reskilling e l’upskilling possono rappresentare una soluzione tutt’altro che marginale per coprire i fabbisogni occupazionali delle imprese, in attesa che i nuovi percorsi formativi inizino a formare con regolarità figure professionali dotate delle competenze tecnologiche richieste dal mercato del lavoro.