Skip to main content

Alla fine del 2023 l’Italia ha compito un passo in avanti decisivo nell’aggiornamento della propria normativa sull’elettrosmog. Lo scorso 19 dicembre è stato approvato dalla Camera, in via definitiva, il Ddl concorrenza che contiene le nuove disposizioni sui limiti di esposizione ai campi elettromagnetici. In base alla nuova normativa i limiti vengono fissati “in via provvisoria e cautelativa”, per quanto attiene all’intensità di campo elettrico E, a un valore di 15 V/m; per quanto attiene all’intensità di campo magnetico H, a un valore di 0,039 A/m; e per quanto attiene alla densità di potenza D a un valore pari a 0,59 W/m2. La legge prevede anche il coinvolgimento, con funzione di ricerca e sperimentazione, del Ministro delle imprese e del Made in Italy, stabilendo che lo stesso effettui la raccolta e l’elaborazione dei dati relativi a sorgenti connesse ad impianti, apparecchiature e sistemi radioelettrici per usi civili di telecomunicazioni. Dati da trasmettere ai Ministeri dell’ambiente e della salute e al Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento elettromagnetico al fine di implementare e sostenere le attività di monitoraggio ambientale e consentire una più efficiente e razionale gestione dello spettro elettromagnetico.

Via alle nuove regole sull’elettrosmog, dopo 20 anni l’Italia al passo con l’innovazione

La precedente normativa italiana in materia era stata definita nel 2003 e da allora non aveva subito sostanziali mutamenti, nonostante gli operatori mobili abbiano spesso richiesto a gran voce la sua revisione. Difatti, i limiti di emissione elettromagnetica rappresentano uno dei principali vincoli da considerare nella progettazione delle reti. L’innalzamento dei limiti rappresenta dunque una notizia positiva per gli operatori, che trarranno dagli effetti della misura numerosi benefici, sebbene il valore di 15 V/m sia ancora 4 volte inferiore rispetto ai limiti europei. Nell’Unione europea, 12 paesi (Portogallo, Spagna, Francia, Irlanda, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Finlandia, Estonia, Cipro) hanno seguito le raccomandazioni della Ue e hanno fissato il limite a 61 v/m a livello nazionale. Cinque stati non hanno fissato limiti o li hanno fissati più alti delle raccomandazioni Ue (Olanda, Danimarca, Svezia, Lettonia, Austria). Otto paesi hanno posto limiti più stretti rispetto alle indicazioni europee (Italia, Belgio, Slovenia, Croazia, Grecia, Bulgaria, Polonia, Lituania).

Anche con le nuove regole l‘Italia resterebbe al di sotto del limite europeo dalle soglie fissati da tutti gli altri Stati membri. “Paesi come la Germania e la Spagna hanno adottato i limiti massimi da oltre 20 anni” senza riscontrare anomalie nella popolazione, ha fatto notare in proposito il ministero delle Imprese e del Made in Italy.  Inoltre, l’innalzamento dei limiti garantirebbe, secondo i tecnici del ministero, “il miglioramento della qualità del servizio (in termini di copertura) fin da subito, con effetti positivi sui cittadini in termini di voce e dati, riducendo l’impatto economico sugli operatori e la proliferazione di antenne sul territorio”.

Effetti sulla progettazione delle reti

Da un punto di vista tecnico i limiti di emissione elettromagnetica rappresentano uno dei principali vincoli di cui tenere conto nella progettazione delle reti radiomobili. Difatti, la potenza a cui una cella radiomobile emette il segnale condiziona l’area di copertura della stessa. Semplificando, a parità di condizioni (frequenza utilizzata, ostacoli, ecc.), una cella che emette il segnale ad una minore potenza è caratterizzata da una copertura più ridotta. Ne consegue che per coprire la medesima porzione di territorio, un operatore deve necessariamente prevedere l’installazione di un numero maggiore di celle, e dunque incrementare notevolmente i propri investimenti per lo sviluppo della rete di accesso. Ciononostante, proprio a causa dei limiti di emissione, la libertà di un operatore mobile di installare le proprie apparecchiature in un sito risulta limitata. Infatti, la possibilità di installare gli apparati di accesso alla rete mobile in un sito già esistente non è solo subordinata alla presenza di spazi fisici disponibili sul sito, ma anche al livello di emissioni di campo elettromagnetico che già caratterizza il sito.

Lo studio “Limiti di esposizione ai campi elettromagnetici e sviluppo reti 5G” realizzato dal Politecnico di Milano nel 2019 fornisce a questo proposito risultati molto interessanti. In particolare, lo studio ha mostrato che l’implementazione della tecnologia 5G sfruttando solo siti già esistenti e caratterizzati da un livello di emissioni di campo elettromagnetico entro il limite di 6 V/m si sarebbe tradotto in reti di scarsa qualità. Lo studio ha stimato inoltre che in Italia, in media, il 62% dei siti esistenti non fosse in grado di supportare il roll-out delle reti di accesso 5G a causa dei troppo stringenti limiti di emissione di campo elettromagnetico. La costruzione di nuovi siti non avrebbe, comunque, rappresentato una soluzione sempre perseguibile, anche per via della presenza in molti comuni di vincoli paesaggistici.

In aggiunta, sebbene le nuove attivazioni 5G facciano parte di uno scenario di sostituzione tecnologica a medio-lungo termine che vedrà parte dello spazio EMF utilizzato oggi per il 2G e il 3G essere gradualmente eliminato per “far posto” ai segnali dei servizi 4G e 5G, si evidenzia che non tutti gli operatori dispongono di reti legacy che possono essere spente per liberare spazio EMF per installare apparecchiature 5G. Inoltre, lo spegnimento dei servizi legacy potrebbe non essere sempre possibile, poiché da essi dipendono servizi critici come le comunicazioni Machine-to-Machine, utilizzate ad esempio per la telemetria, ecc. Come conseguenza gli operatori incumbent italiani stanno spegnendo solo le loro reti 3G, ma prevedono di mantenere attive le reti 2G almeno fino al 2029. Secondo lo studio, inoltre, l’utilizzo di siti già esistenti è fondamentale per gli operatori italiani che stanno procedendo con il dispiegamento delle reti 5G. Difatti, ad oggi, gli operatori mobili italiani fanno uso di un’architettura di rete 5G Non Stand-Alone, in virtù della quale si utilizzano la rete core “legacy” 4G e l’accesso radio LTE (come “ancoraggio”) per fornire servizi 5G. Tale modalità rende molto difficile, se non impossibile, installare le apparecchiature 5G su siti differenti da quelli dove siano già presenti le apparecchiature LTE. Inoltre, i costi e le tempistiche necessarie per il trasloco di tutte le apparecchiature presso un sito alternativo sarebbero alti e scarsamente giustificabili.

I benefici per gli operatori

L’innalzamento dei limiti di emissione elettromagnetica consentirà pertanto agli operatori di progettare reti meno dense e considerare budget di investimento e costi inferiori rispetto al passato. Ciò potrà dare respiro agli operatori nazionali, che si trovano a operare in un mercato altamente competitivo e in cui agli alti costi di deployment delle reti fa riscontro una progressiva riduzione dei ricavi riconducibili a servizi mobili. In particolare, secondo i dati dell’Osservatorio di Digital Innovation del Politecnico di Milano, i ricavi del settore mobile sarebbero diminuiti del 45,7% dal 2008 al 2021. L’incremento dei limiti non è però solo un atto dovuto, ma rappresenta una misura fondamentale per favorire la diffusione capillare delle reti 5G nel Paese e rilanciare la competitività del settore mobile. Infatti, l’incremento dei limiti potrà produrre un effetto a catena virtuoso che, in ragione della diminuzione dei siti necessari a garantire la copertura, potrà portare ad una riduzione degli investimenti e dei tempi necessari per il roll-out delle reti, nonché ad una riduzione dei relativi costi di gestione e manutenzione.

Il 5G e i possibili effetti sulla salute

Una questione spesso sollevata relativamente all’innalzamento dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici è quella delle loro possibili conseguenze sulla salute. Un recente studio pubblicato dal Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale dell’Istituto Superiore di Sanità chiarisce alcuni aspetti su base scientifica.

Secondo lo studio la prossima introduzione della tecnologia di telefonia mobile di quinta generazione (5G) darà luogo a nuovi scenari di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza che saranno emessi in bande di frequenza (694-790 MHz, 3,6-3,8 GHz e 26,5-27,5 GHz) diverse da quelle utilizzate attualmente per la telefonia mobile (da 800 MHz a 2,6 GHz). Uno degli aspetti di particolare novità del 5G consiste nel fatto che non sarà finalizzato solo alla comunicazione tra persone, ma anche al cosiddetto “Internet delle cose”, in cui vari dispositivi wireless comunicano direttamente tra loro, utilizzando in particolare onde elettromagnetiche di frequenza appartenente alla banda 26,5-27,5 GHz indicate spesso come “onde millimetriche” anche se quest’ultime corrispondono più precisamente alle frequenze comprese tra 30 e 300 GHz (lunghezze d’onda comprese tra 1 e 10 mm).

Finora gli unici effetti sulla salute umana dei campi elettromagnetici a radiofrequenza che siano stati accertati dalla ricerca scientifica sono gli effetti a breve termine, di natura termica, dovuti a meccanismi di interazione tra i campi e gli organismi biologici ben compresi. Gli standard internazionali di protezione definiscono limiti di esposizione ai campi elettromagnetici il cui rispetto garantisce ampiamente, grazie anche all’introduzione di opportuni fattori di riduzione, che la soglia degli effetti termici non venga superata. Tali standard sono stati recepiti da vari Paesi nel mondo e parzialmente anche in Italia dove per i sistemi fissi per le telecomunicazioni e radiotelevisivi sono previsti limiti di esposizione (da rispettare sempre) e valori di attenzione (da rispettare nei luoghi adibiti a permanenze prolungate dei soggetti della popolazione) più restrittivi dei limiti internazionali in quanto finalizzati alla tutela della salute anche da eventuali effetti a lungo termine. Il 5G, come le attuali tecnologie di telefonia mobile di seconda, terza e quarta generazione (2G, 3G e 4G), non richiede segnali elettromagnetici di intensità tale da indurre aumenti significativi della temperatura corporea dei soggetti esposti, per cui non è prevedibile alcun problema per quanto riguarda gli effetti noti dei campi elettromagnetici. Non solo i livelli di esposizione della popolazione saranno molto inferiori alle soglie per gli effetti a breve termine di natura termica, ma la temuta “proliferazione di antenne” non dovrebbe comportare aumenti generalizzati delle esposizioni in quanto le ridotte dimensioni delle small cells comporteranno delle potenze di emissione più basse di quelle utilizzate per coprire le macrocelle.

Alcune ricerche hanno valutato gli effetti biologici e i rischi per la salute delle onde millimetriche, prendendo spunto dall’introduzione negli aeroporti internazionali dei body scanner che espongono i passeggeri ad onde elettromagnetiche a frequenze molto simili a quelle del 5G. Uno studio dell’Agenzia Francese di Sicurezza Sanitaria dell’Ambiente e del Lavoro (AFSSET) non è approdata a risultati definitivi. Nel 2011 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha valutato le evidenze scientifiche sulla cancerogenicità dei campi elettromagnetici a radiofrequenza emessi dai telefoni cellulari, da antenne radiotelevisive e antenne fisse per telefonia cellulare, nonché da apparecchiature di notevole potenza usate in ambito industriale accertando che il complesso degli studi esaminati non supporta l’ipotesi di cancerogenicità dei campi elettromagnetici.

Nel report della IARC sono stati esaminati anche studi relativi ai campi elettromagnetici emessi da sorgenti diverse dai telefoni cellulari, anche a frequenze confrontabili con quelle che saranno utilizzate dal 5G, che tuttavia fornivano evidenze inferiori alla già limitata evidenza proveniente dagli studi sugli utilizzatori dei telefoni cellulari. In conclusione, i dati disponibili non fanno ipotizzare particolari problemi per la salute della popolazione connessi all’introduzione del 5G. Ciò non toglie che l’introduzione di questa tecnologia dovrà essere affiancata da un attento monitoraggio dei livelli di esposizione (come del resto avviene già attualmente per le attuali tecnologie di telefonia mobile) e che proseguano le ricerche sui possibili effetti a lungo termine.

La regolamentazione europea sull’esposizione ai campi elettromagnetici

Le normative europee e internazionali che disciplinano l’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza fondano le loro evidenze scientifiche sulle conclusioni della Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP) che ha pubblicato nel 1998 le proprie Linee Guida in materia di limitazione delle esposizioni della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz. Queste Linee Guida sono state recepite a livello europeo con la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 12 luglio 1999. Poi nel 2020, ICNIRP ha pubblicato una revisione delle proprie linee guida, affinando la metodologia ed estendendo l’ambito di applicazione anche alle tecnologie e alle frequenze del 5G. Le nuove linee guida tengono specificamente in considerazione il comportamento dei campi elettromagnetici a radiofrequenza per lo spettro superiore ai 24 GHz che viene utilizzato nei sistemi 5G e stabiliscono restrizioni tali da garantire che la densità di potenza assorbita sia di molto inferiore a quanto necessario per determinare effetti nocivi sulla salute. In generale, a frequenze più alte lo spessore di penetrazione delle onde elettromagnetiche nel corpo umano si riduce, e l’assorbimento di potenza da parte del corpo avviene superficialmente.

Per tale ragione, ICNIRP è del parere che l’esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza emessi da sorgenti in tecnologia 5G non causino danno, quando ciò avviene nel rispetto delle proprie linee guida. La Commissione Europea ha già iniziato i lavori propedeutici al recepimento delle nuove Linee Guida, e di conseguenza alla revisione della corrente normativa al riguardo. In ogni caso, si evidenzia come i livelli di riferimento definiti da ICNIRP nel 1998 siano tuttora validi, anche in relazione alle nuove tecnologie e frequenze utilizzate dai sistemi 5G. In accordo all’attuale normativa, gli Stati Membri dell’Unione Europea possono adottare i limiti di emissione previsti dalla Raccomandazione o implementare limiti più severi. L’implementazione di limiti più severi rappresenta più un’eccezione che la regola, poiché sono ben pochi i Paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, che hanno effettivamente imposto limiti più stringenti.

Riflessioni conclusive

La revisione dopo oltre 20 anni della disciplina che regola in Italia l’esposizione ai campi elettromagnetici rappresenta senza dubbio un passo in avanti per il comparto delle Tlc in Italia: un comparto che aveva più volte evidenziato come la precedente normativa rappresentasse un freno per l’adozione dei migliori standard tecnologici legati al 5G. Con le nuove regole sarà anche possibile limitare l’impatto finanziario che gli operatori dovranno sostenere per l’aggiornamento delle reti e anche gli utenti avranno a disposizione reti di comunicazione più efficienti e stabili funzionali alla digitalizzazione del nostro paese. Studi scientifici hanno dimostrato che, sulla base delle conoscenze attuali, non ci sono timori per le conseguenze che il 5G può avere sulla salute degli individui. Ovviamente un attento monitoraggio dei possibili effetti sanitari della nuova tecnologa è doveroso e auspicabile e in questo senso sarà necessario accompagnare l’introduzione del 5G con studi che abbiano una proiezione pluriennale in grado di abbracciare un arco temporale a medio e lungo termine.